chi sono

Sono approdato alla psicoanalisi dopo una formazione in filosofia e psicologia. Il percorso filosofico ha rappresentato un valido contenitore di una ricerca personale e identitaria in quegli anni molto forte e accesa.
Nell’ultimo periodo del mio iter universitario mi sono avvicinato all’opera dello psicoanalista inglese Bion, il pensatore che ha pensato più a fondo le radici della mente.
L’ipotesi che sembrava ‘emergere in filigrana’ dalla lettura di Esperienze nei gruppi (Bion,1961) era che la mente individuale potesse funzionare come un gruppo e che nella stanza di analisi, perciò, non vi fossero due persone, ma una dimensione virtuale gruppale.
Il progetto di divenire psicoterapeuta è nato sull’onda emotiva e intellettuale di quelle pionieristiche letture e si è saldato con l’esperienza personale della psicoterapia psicoanalitica che stavo sperimentando in quegli anni.

La formazione post lauream

Appartengo ad una generazione di psicoterapeuti che ha avuto ancora la possibilità di formarsi in ‘istituzioni psicoanalitiche classiche’ in un contesto che favoriva la dimensione esperienziale dell’analisi personale, proponendo parallelamente lo studio dei modelli che formano l’ossatura della psicoanalisi.
Dopo la specializzazione in psicoterapia psicoanalitica, il focus della mia ricerca si è spostato su modelli psicoanalitici contemporanei (sviluppi post-bioniani, teorie di campo), che offrono importanti strumenti per lavorare insieme al paziente sulle emozioni che rimangono scisse e non pensate.
Il modello bioniano ipotizza che la mente individuale e la coppia al lavoro nella stanza di analisi funzionino come un gruppo e mi è sembrato che questa idea avesse una traduzione immediata nel modello psicoanalitico di campo che delle idee di Bion è il più felice e creativo sviluppo.
L’interesse per la dimensione gruppale della mente come modello da applicare al lavoro nella stanza di analisi mi ha portato negli ultimi anni ad approfondire lo psicodramma psicoanalitico.

La dimensione lavorativa

Il mio studio accoglie dal 2011 pazienti adulti e adolescenti per percorsi di consultazione e psicoterapia.
La mia fisionomia personale e professionale mi ha portato a pensare alla dimensione privata come ad una dimensione istituzionale. che offra al paziente un luogo di cura stabile, intimo, ma aperto alla dimensione sociale in cui egli ha la propria vita da vivere.
La stanza di analisi è uno dei dispositivi di cura e di stabilizzazione del dolore mentale più preziosi che la nostra cultura possa offrire nei momenti di crisi personale e sociale.
A partire dal 2013 ho lavorato per lunghi periodi nelle Istituzioni sanitarie (NPIA di Voghera) che si occupano della salute mentale degli adolescenti partecipando ai Progetti regionali lombardi di presa in carico integrata degli stati acuti e post-acuti dell’adolescente.
L’esperienza istituzionale mi ha consentito di imparare a lavorare nelle équipe multidisciplinari e di cogliere le problematiche adolescenziali da una molteplicità di vertici.
In ambito istituzionale ho condotto psicoterapie individuali e di gruppo con adolescenti compresi tra i 12 e i 18 anni. Dal 2018 collaboro al Progetto regionale adolescenti attivo presso la Fondazione Mondino di Pavia.

Il mio percorso nei sentieri della psicoanalisi contemporanea.



Sono stato precocemente influenzato dal pensiero di Bion a cui mi sono avvicinato nel 1999 durante l'ultimo anno della mia formazione filosofica.
Bion ipotizza che la mente si costruisca a partire da una relazione e nella relazione . Il suo schema più conosciuto immagina un flusso emotivo bidirezionale tra un neonato e un caregiver.
Il caregiver riceve continuamente dei pacchetti di emozioni grezze, turbolente dal neonato (e forse anche del feto) e le restituisce bonificate grazie al lavoro di una funzione che Bion chiama in modo insaturo "alfa": la funzione che dà origine al mentale e che lo alimenta.
Con Bion la pratica terapeutica diviene costruzione di funzioni e strumenti più che lavoro archeologico-verticale su reperti e contenuti che vanno dissotterrati e ricostruiti.
Giovanni Hautmann, ripensando Bion in modo originale, ipotizza che la psicoanalisi stessa sia una funzione della mente , non solo e non tanto una tecnica volta a esplorare il passato risolvendo traumi, conflitti e sbloccando punti di fissazione.
È ipotizzabile che tale funzione, presente potenzialmente in ognuno di noi, vada addestrata e 'tenuta viva' , e che sia una funzione molto vicina a quella del sogno, capace di trasformare in immagini emozioni grezze che rimarrebbero altrimenti grezze, 'senza nesso' o con dei 'falsi nessi' e quindi indigeribili.
Le concettualizzazioni qui sintetizzate trovano una felice espansione creativa nel modello di campo (Ferro, Bezoari, 1994) molto utile nella clinica perché in grado di superare un modello conoscitivo interpretativo per approdare a un modello estetico ed ontologico dove il sentire e il sognare insieme al paziente sono preponderanti rispetto all'analisi verticale del passato e alla sua interpretazione.
Il modello di campo pensa che la dimensione inconscia sia continuamente tessuta e ritessuta dall'interazione clinica tra paziente e analista, attraverso l'emergere di personaggi che, come 'vettori di forze', si presentano nello spazio virtuale e transizionale interpsichico.
Le trasformazioni psichiche avverrebbero non tanto e non solo attraverso l'interpretazione ma mediante la costruzione tra analista e paziente di una comune narrazione che può essere considerata come appartenente al campo e non alle singole persone fisiche che lo abitano.
Il lavoro nella stanza di analisi coinvolge quindi paziente e terapeuta in un 'gioco trasformativo' che va al di là di un conoscere "archeologico" ma che rappresenta un "pensare insieme" volto a dare una forma a emozioni che 'indigeribili' continuano a innescare meccanismi difensivi che si fanno sempre più rigidi e maladattivi.

Il Codice Deontologico degli psicologi